Sorprese di fighe pelose


ImageNon era mai successo che Bruno restasse senza comunicare notizie, senza neanche una telefonata, per più di una settimana. Ormai la sua ansia era diventata vera e propria impazienza. Da più di due giorni viveva in sostanza in un raggio di non più di cinque metri dal telefono. Le ultime due notti le aveva passate in un agitato dormiveglia, accoccolata sull’ampia poltrona del salotto.
 Finalmente il telefono squillò. Due trilli ed alzò la cornetta: se lo sentiva, era certa che fosse lui.
 * Ciao Luisa – Ogni volta che sentiva la sua voce, anche se per telefono, il suo cuore accelerava i battiti. Non aspettò che lei rispondesse – Sarò a casa per l’ora di cena con un ospite molto importante cui tengo in modo particolare. Voglio che prepari una cena a base di pesce ed in modo perfetto. –
 * Capito perfettamente, – rispose lei. Da qualche tempo aveva imparato che l’unico modo per evitare guai non voluti, era essere sempre pronta ed efficiente. Lui non gradiva chiacchiere inutili e superflue. – Quale abito preferisci che indossi? Quello nuovo blu con lo spacco all’anca o l’altro nero con la scollatura profonda? –
 * Al tuo abbigliamento ci penso io, – tagliò corto lui – ho già provveduto ad acquistare quello che ti occorre per adattarti perfettamente alla serata. Un fattorino te lo recapiterà non più tardi delle otto. Hai tutto il tempo, quindi per prepararti alla perfezione. Regolati di conseguenza e non deludermi. – Clic. Un lungo, flebile, ininterrotto ronzio fu tutto quello che, oltre quelle poche parole, le giunse dal telefono prima che si decidesse a riabbassare la cornetta.
 Non le dette neanche il tempo di dirgli quanto lo amava.
 Sentì gli occhi inumidirsi: un’ondata di lacrime era in procinto di annegare la sua tristezza. Fortunatamente in quell’attimo il carillon dell’orologio a pendolo scandì le ore: le quindici e trenta. Non aveva un momento da perdere. Per il suo amato Padrone l’ora di cena erano le ventuno esatte. Cinque ore e mezza. Quattro e mezza per preparare tutto ed un’ora per farsi bella con l’abito nuovo.
 Un po’ poco, ma, come sempre ce l’avrebbe fatta e Bruno si sarebbe complimentato con lei.
 Il suo Amore, il suo Padrone, finalmente veniva a trovarla, veniva a cena da lei, con lei. E’ vero, non veniva solo, portava un ospite, ma che importa? La sua sola presenza già la ripagava abbondantemente delle lunghe estenuanti attese. Aveva detto: – Non deludermi -. Si sarebbe fatta uccidere pur di non far accadere una cosa del genere.
 Non aveva un istante da perdere, c’era un monte di roba da fare. Studiare il menu più adatto, prepararlo alla perfezione; tirare a lucido il salotto ed il salone da pranzo; ripassare l’argenteria. Anche la loro camera da letto sarebbe stata oggetto delle sue cure. Finita la cena, partito l’ospite, certamente lui si sarebbe fermato; così, almeno, aveva fatto tutte le altre volte che le aveva concesso l’onore di preparare delle cene importanti per i suoi importantissimi ospiti.
 Questa volta doveva essere qualcuno veramente speciale, se le aveva addirittura ordinato degli abiti adatti alla circostanza, e sì che ne aveva già in abbondanza e per tutte le occasioni. Certo, i suoi affari lo portavano ad entrare in contatto con i personaggi più influenti della politica, dell’industria e della finanza; aveva preparato una cena addirittura per l’ambasciatore di una grossissima potenza d’oltreoceano. Chissà chi avrebbe avuto l’onore di conoscere quella sera?
 Esattamente alle venti meno cinque era pronta a ricevere il fattorino che le avrebbe consegnato l’abito nuovo da indossare per la serata.
 Si guardò intorno ripassando mentalmente tutto quello che aveva fatto in quel frenetico pomeriggio di lavoro.
 Aperitivi e vino spumante in fresco insieme a tre tipi di vino bianco da accompagnare alle varie portate; ostriche aperte e guarnite nel frigo di cucina. Le altre pietanze tutte pronte ed in attesa di ultima cottura. Il dolce lo aveva fatto arrivare dall’ottima pasticceria all’angolo. Onestamente non aveva avuto il tempo di prepararlo lei stessa, anche se lo avrebbe preferito.
 L’ultimo controllo alla tavola apparecchiata per tre in modo impeccabile: piatti in ceramica, una serie di posate per ogni portata, bicchieri di cristallo per l’aperitivo, per l’acqua, per il vino, flute per lo spumante. Candelabri d’argento a tre bracci di fronte ad ogni posto con candele di cera stearica profumata nuove di zecca.
 Aveva già fatto la doccia; i lunghi capelli castano scuro erano ancora bagnati: la pettinatura l’avrebbe intonata all’abito che ormai stava per arrivare.
 Le aveva detto di voler fare un’ottima figura e lei sarebbe stata perfetta.
 Si complimentò con se stessa; aveva fatto veramente un ottimo lavoro.
 Esattamente all’ora prevista giunse il fattorino che le consegnò una lussuosissima scatola che le sembrò un po’ piccola per contenere l’abito da sera che si aspettava.
 Firmò la ricevuta e via di corsa in camera da letto.
 Aprì con impazienza la scatola e ne trasse subito le scarpe: adorabili; nere, lucide, con il cinturino alla caviglia, tacco a spillo vertiginoso, almeno 12 cm. L’ideale per lei che non era molto alta; molto ben fatta, con tutte le curve ben sode e piene ai punti giusti, perfettamente proporzionata, ma, almeno per il tipo che andava per la maggiore, effettivamente un po’ bassina.
 Tirò fuori l’abito: un abitino nero da cameriera, cortissimo, vergognosamente corto, di stoffa pregiata ma pur sempre un vestito da cameriera abbottonato sul davanti. Febbrilmente prese il resto della roba: guanti bianchi, grembiulino di pizzo bianco ricamato a mano, cuffietta bianca inamidata, un paio di mutandine, anzi, per meglio dire un microscopico tanga di merletto nero finissimo, un reggiseno a balconcino sempre di merletto nero, collant a rete.
 Un urlo di rabbia ed una irripetibile imprecazione all’indirizzo di quell’idiota mentecatto del commesso: aveva sbagliato a fare la consegna. A chissà quale pezzente cameriera era andato a finire il suo meraviglioso abito. Il bellissimo abito che il suo Amore – Padrone aveva scelto per lei.
 Ed ora? Come si sarebbe giustificata con Bruno? La colpa di quel casino, in effetti, era anche la sua: avrebbe dovuto controllare prima di accettare il pacco.
 Con la morte nel cuore guardò l’orologio: le venti e dodici. Ormai a quell’ora il negozio era certamente chiuso.
 Controllò l’indirizzo sulla scatola per vedere a chi era effettivamente destinata: l’indirizzo era il suo. Maledisse mentalmente anche le commesse che avevano sbagliato a scrivere l’indirizzo. Non aveva neanche la possibilità di poter fare lo scambio tra i destinatari che avevano ricevuto la merce sbagliata.
 Tornò a guardare gli indumenti che le erano stati consegnati: roba di gran classe, comunque. Quei padroni trattavano veramente bene la loro domestica.
 Un dubbio angosciante l’assalì. Freneticamente controllò le taglie: quella dell’abito era la sua, così come quella del reggiseno, delle scarpe, del tanga, delle calze a rete. Tutto perfetto per lei.
 In un attimo riudì, parola per parola la telefonata del suo padrone.
 Non aveva mai affermato che avrebbero cenato insieme: soltanto che sarebbe arrivato alle nove in punto con un ospite cui teneva moltissimo. Anche per l’abito, non aveva detto che sarebbe servito a farle fare bella figura, bensì ad adattarla perfettamente alla serata. Tutto il resto lo aveva immaginato lei: il suo ruolo di perfetta padrona di casa durante la cena; le forbite conversazioni con l’ospite; il “dopo cena”. Tutto e soltanto frutto della sua fantasia.
 Ora capiva anche la frase finale che l’aveva lasciata perplessa: – Regolati di conseguenza … .- Non significava “lasciati il tempo di farti bella”, ma: “Non sei invitata; sarai la cameriera, la serva”.
 Questo era il ruolo che Lui le aveva riservato per la serata: il ruolo di una semplice serva.
 Un grande dolore la invase. Erano settimane che non cenavano insieme ed ora, anche questa speranza era andata delusa.
 Agli ordini! Avrebbe fatto come il suo Padrone assoluto comandava.
 Vestendosi si accorse che l’abbigliamento era tutto studiato per mettere in risalto la sua sensualità.
 L’abito nero le arrivava appena a coprire il triangolo del pube; indossando il microscopico tanga rifletté che se non fosse stata estremamente attenta, ad ogni movimento avrebbe mostrato il suo sodo e ben tornito culo. Lo stesso valeva per il suo petto. La profonda scollatura dell’abito nero era estremamente audace ed il reggiseno a balconcino non aiutava certo a coprire; anzi: i capezzoli restavano abbondantemente scoperti.
 Il collant a rete, con la cucitura posteriore, la faceva sentire un po’ meno nuda, pur lasciandola cosciente che contribuiva non poco a rendere l’abbigliamento ancor più provocante.
 Un leggerissimo trucco, come le aveva insegnato Lui; appena quel tanto sufficiente a valorizzare ancora di più, se possibile, il suo ovale perfetto e gli occhi azzurri bellissimi.
 Si guardò allo specchio mentre finiva di sistemare la cuffietta a crestina.
 Si sentiva nuda quanto e forse di più di come si sarebbe sentita se lo fosse stata veramente.
 Perché quell’abbigliamento estremamente audace alla presenza di un estraneo? Perché umiliarla al ruolo di serva?
 Certo, da soli, per lui, si era umiliata molto, molto di più; ma davanti ad altri … .
 Intuì che, in qualche modo, doveva servire soltanto per far colpo sull’ospite di riguardo. E se avesse allungato le mani? Se si fosse permesso di palpeggiarle le natiche nude? Come si sarebbe dovuta comportare? Normalmente si sarebbe ribellata, avrebbe fatto il finimondo; quelle cose aveva il diritto di farle soltanto il suo padrone, ma quella sera?
 Turbinando, i suoi pensieri cercavano di collegare in modo logico i fatti: una cena con un ospite importante e lai a far da cameriera. Vestita da cameriera ma praticamente nuda.
 Un lampo le attraversò la mente. Tutta la messa in scena era destinata all’altro. Lei stessa era destinata all’altro.
 * Non deludermi – erano state le sue ultime parole. Ecco cosa voleva dire. Serva in mostra e disponibile a tutto.
 Va bene: se era questo quello che voleva, non l’avrebbe di certo deluso. L’ospite avrebbe potuto fare tutto quello che voleva: toccarla e palparla come e dove voleva. Pretendere da lei qualsiasi servizio; non si sarebbe rifiutata se questo era quello che voleva il suo Amore.
 Tolse il terzo coperto lasciando apparecchiato soltanto per due: una semplice serva non poteva certo mangiare alla tavola dei signori.
 Si sentiva sempre più pervadere da una profonda tristezza e sempre più si convinceva che la sua ipotesi era quella giusta.
 Se il suo Padrone avesse voluto presentarla orgogliosamente al suo ospite, non l’avrebbe certo messa in mostra in quel modo. L’avrebbe fatta vestire come una regina, elegante, truccata alla perfezione, con i gioielli che avrebbero esaltato la sua già notevole bellezza: non così, vestita con quello straccetto nero, con tutto il corpo disponibile agli sguardi e sicuramente anche ai palpeggiamenti dell’altro.
 Pochi minuti alle nove. Un ultimo controllo mentre indossava l’ultimo capo di abbigliamento della sua umiliazione: il minuscolo paio di guanti bianchi. Image
 Donna di servizio fino in fondo, pensò mentre si predisponeva a recitare la parte dell’umile comparsa o al massimo della donna oggetto, in quella serata in cui, per qualche ora, aveva fantasticato di essere la magnifica protagonista.
 A distanza di mesi, Luisa non riusciva ancora a comprendere come fece a mantenersi impassibile quando, aprendo la porta di casa, vide chi era l’ospite della serata; l’ospite con cui Lui ci teneva a fare un’ottima figura.
 Ancora non si rendeva conto di come era riuscita a non fuggire, gridando dal dolore e dalla delusione vedendo la magnifica donna che il suo Padrone stava facendo accomodare in casa.
 Dopo giorni sentiva ancora l’acre sapore delle lacrime che aveva ingoiato quando il Suo dio, senza degnarla di uno sguardo, le ordinò di aiutare la “signora” a togliere la pelliccia.
 Le due ore che seguirono, furono per lei il più angosciante degli inferni alternando periodi di profonda abulia ad altri di feroce furore.
 Passava quasi istantaneamente da momenti di frustrante senso di abbandono, a spasimi incontenibili di dolce ed ardente passione per il suo solo, unico dio.
 Non erano certamente colpa del suo uomo le sofferenze che lei provava. L’unica, vera, sola colpevole era lei, la strega, la sirena, l’ammaliatrice, ma pur sempre e comunque la più lurida baldracca del più schifoso angiporto della più pezzente città dell’universo.
 Lui era puro, innocente, troppo buono. La sua unica colpa era stata quella di essersi lasciato abbindolare da quell’essere immondo.
 Per il suo adorato Padrone non c’erano altro che telepatici messaggi di protettivo amore.
 Finalmente terminò quella maledetta cena.
 Non le restava altro che servire il caffè nel salottino dove si stavano spostando, poi, forse, sarebbe stata libera di accasciarsi in un angolo e dare libero sfogo ai singhiozzi che ormai non riusciva più quasi a trattenere.
 * Debbo farti i miei complimenti, – si congratulò la donna mentre Bruno avviava un romantico disco di James Last, – è stata una cena ottima e servita alla perfezione. Hai una domestica veramente efficiente; efficiente ed anche molto carina. –
 * Si, – convenne lui mentre sorbiva il caffè appena servito, – efficiente, bella e soprattutto devota e sempre disponibile per qualsiasi cosa le chieda: non so proprio come farei senza di lei. –
 * Guardandola non stento a crederti, – rispose la donna acidamente, fraintendendo di proposito il senso con cui Bruno l’aveva elogiata, – la sua disponibilità deve essere veramente totale. –
 Non ottenendo alcun commento dall’uomo che, signorilmente, aveva ignorato la frecciata, pensò bene di rincarare la dose: – D’altro canto non la si può certo biasimare. Accadrebbe persino a me, se stessi al tuo fianco ventiquattro ore al giorno, sotto il tuo tetto, di diventare completamente disponibile; figuriamoci ad una del suo ceto. –
 Qualche volta al fato bisogna pur crederci, non si può fare altrimenti.
 Fu proprio il fato a volere che in quel momento terminasse il primo brano del disco invadendo di improvviso silenzio la stanza; fu proprio il fato a volere che la donna si spostasse verso la finestra costringendo Luisa a passare accanto a Bruno per uscire dalla stanza; fu ancora il fato a volere che Luisa, perfetta in tutta la serata, perdesse un’infinitesima frazione di autocontrollo facendo sì che si abbandonasse, a bassissima voce, ad una esternazione inconsapevole dei suoi pensieri, ed infine, fu sempre il fato che volle che Bruno, osservandola proprio in quell’istante, mentre gli passava accanto, afferrasse almeno il senso di quell’appena percettibile borbottio.
 La sua voce, secca e fredda, le esplose nel cervello richiamandola di colpo alla dura realtà.
 * Luisa, cosa stai borbottando? –
 Fece fatica a riprendersi. Trascorse qualche istante prima che riuscisse a pronunciare uno stentato: – Niente, niente Signore. –
 * Seconda, e sai che non lo chiederò una terza volta! Dimmi cosa stavi bisbigliando. –
 Sentì le gambe farsi di cera molle, il sangue le defluì in un attimo da tutto il corpo.
 Rarissimamente, e soltanto all’inizio del loro rapporto, le era capitato di farsi ripetere un ordine per la terza volta: ed ogni volta se n’era pentita molto, molto amaramente. Da allora aveva sempre posto la massima attenzione a che non le accadesse, e fino ad ora, c’era sempre riuscita: tutta colpa di quella luridissima vacca.
 Sapeva che era pressoché inutile, ma tentò ugualmente di ridurre, almeno, la gravità della sua disattenzione.
 * Quando Le ho risposto “niente”, non volevo dire che non stessi bisbigliando da sola, volevo soltanto significare che stavo dicendo cose di nessuna importanza, anzi … .-
 Fece una breve pausa nella speranza che la giustificazione, abbastanza plausibile, fosse presa per buona.
 Non ottenendo alcun cenno di risposta, comprese che doveva affrettarsi a ripetere ad alta voce il suo borbottio.
 Si era avvicinata troppo pericolosamente al limite di quanto le era concesso; la presenza di una terza persona non era certo il motivo per sperare che tale limite si allontanasse: quasi certamente era vero l’esatto contrario.
 Continuò come se la breve pausa non fosse esistita – Stavo fantasticando ad alta voce e sognavo di quanto sarei stata felice se avessi potuto insegnare io, alla “signora”, la stessa disponibilità che lei mi attribuisce; ma facendolo a modo mio, come dico io … ! Il ceto! … Lo so io dove glielo schiafferei il suo ceto! –
 Si bloccò, folgorata dalla consapevolezza di essersi lasciata andare polverizzando tutti i limiti che il Suo Signore le aveva imposto.
 * Ma come ti permetti, tu, piccola stupida serva ignorante; come osi rivolgerti a me in quel modo? – scattò inviperita la donna – e tu, – rivolgendosi a Bruno – tu le consenti impunemente di dirmi quelle cose?
 * Innanzi tutto non puoi assolutamente dire che è una “serva ignorante”: è laureata in lettere e filosofia; poi non è una serva: al più, qualche volta, la mia governante, e per ultimo ti prego per il momento dì fare silenzio. Voglio verificare un particolare che potrebbe rendere la serata molto interessante. –
 Luisa restò di sasso: non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo. Il minimo che sapeva doversi aspettare, dopo quello che aveva avuto l’impudenza di dire, era una severissima punizione corporale seduta stante, con l’aggravante di doverla subire alla presenza della donna causa di tutti i suoi guai. Lei aveva offeso l’ospite dei suo signore; quindi sarebbe stata castigata severamente e subito!
 Il suo padrone non aveva mai rimandato il regolamento dei conti. Inoltre, erano anche nel punto giusto. Il salottino era usato molto spesso, nei loro giochi, come luogo per le punizioni.
 Il secrétaire, che faceva bella mostra di sé, nell’angolo a lato della finestra, non conteneva un solo documento; era invece il prezioso custode di una completa collezione di fruste, scudisci, corde, cinghie, e quant’altro necessario ad impartire qualsiasi punizione o piacere fosse stato decretato.
 Il suo corpo già tremava al pensiero delle brucianti staffilate che avrebbe ricevuto. Già si figurava, piegata sul bracciolo dei divano, affondare il viso nei pesanti cuscini di cuoio, mentre il suo sedere, messo a nudo, riceveva i morsi della cinghia.
 Fu quindi con estremo stupore che apprese di essere laureata.
 Il diploma superiore, quello si, lo aveva, ma alla laurea aveva rinunciato dopo i primi due esami andati male. Questo Bruno lo sapeva. Perché allora la stava innalzando agli occhi della sua ospite? Perché improvvisamente quel tono brusco, quando per tutta la serata non aveva fatto altro che essere dolce e carino con lei? Cosa stava succedendo?
 * Fammi ben capire, – disse Bruno distogliendola dai suoi pensieri – tu veramente vorresti fare quello che hai detto? –
 Luisa si sentì pervadere dal panico.
 Non capiva ancora il perché o il cosa, ma sicuramente l’aveva fatta molto più grossa di quanto pensasse.
 Era basilare rispondere senza aggravare ulteriormente la sua posizione,.
 Nel dubbio optò per la verità. Gli anni di vita con Bruno le avevano insegnato che in qualsiasi situazione, il mentire o anche il camuffare appena la verità, si risolvevano sistematicamente per lei in una devastante Caporetto.
 * Beh, si, mi piacerebbe proprio! – riuscì a dire con un filo di voce, certa di aver pronunciata la sua condanna.
 * Forza, allora! Fammi vedere. E’ tutta tua.
 Tutto si era aspettato fuorché quella svolta.
 Certo! Le sarebbe piaciuto molto far conoscere a quella stupida vacca a quali piacevolezze poteva essere sottoposto un corpo disponibile: il suo, le aveva conosciute tutte.
 Bruno, però, aveva fatto in modo che lei gradualmente imparasse ad apprezzarle; ad amarle; a godere del dolore intenso, continuo che a volte le era sembrato la portasse alla pazzia.
 Per quell’altezzosa sconosciuta, invece, non ci sarebbe dovuta essere gradualità, non ci sarebbe stato amore. Nessuna comprensione. Nessuna pietà. Solo intransigente severità fino alla sua sottomissione più completa.
 Dopo un attimo di feroce esaltazione, però, fu colta da un prostrante senso di incapacità, di impotenza. Anni di addestramento l’avevano preparata a tutt’altro ruolo.
 Il suo signore era cosciente dì questo.
 Non ne era all’altezza. Non era preparata ad un simile compito.
 Da dove cominciare? Cosa fare? Come imporsi?
 Noi lui non poteva darle quell’ordine. Perché le imponeva quella prova? Voleva veramente che la superasse, o forse lui si aspettata che lei fallisse per umiliarla ancora di più agli occhi della donna insegnandole una volta per tutte qual’era il suo posto, il suo ruolo?
 Lo guardò, implorante, cercando di trasmettergli la sua frustrazione, i suoi timori.
 In risposta ricevette un amorevole sorriso ed un lievissimo ma inconfondibile cenno di complice incoraggiamento.
 Il suo padrone era con lei: l’avrebbe aiutata.
 Anche la donna, che fin’allora aveva rispettato l’ordine di tacere, colse quello sguardo e ne comprese il significato.
 * Non sarai mica diventato pazzo tutto d’un colpo, vero? – inveì scattando in piedi dalla poltrona sulla quale si era accomodata – Non penserai sul serio che io mi sottometta alla tua “governante”. – e sottolineò in modo molto significativo la parola “governante” – piuttosto me ne vado!
 Non fece in tempo a fare un secondo passo.
 La mano aperta di Bruno le esplose letteralmente sulla guancia sinistra facendola ripiombare scompostamente sulla poltrona dalla quale sì era appena alzata.
 * Sei venuta qui per trascorrere una serata particolare. Bene, quella che avrai sarà ancora più particolare di quanto ti aspettassi. Da questo momento sei a completa disposizione di Luisa per qualsiasi cosa voglia farti o farti fare. Se poi vuoi accettare un mio consiglio, ti suggerisco di non fare troppe bizze. La conosco alla perfezione e so che il suo stato d’animo nei tuoi confronti non è certo amorevole. –
 Evidentemente, sia la nuova situazione, che forse e soprattutto il ceffone, avevano confuso alquanto le idee alla donna che, sul momento, non seppe o non volle reagire. Restò immobile sulla poltrona così come v’era caduta.
 Luisa, intanto, confortata dalle parole di Bruno, cercando di reagire ai suoi timori, aveva cercato aiuto in quello che, per la sua immaginazione, era stato per anni, il simbolo visibile dei potere nelle mani dei suo padrone: il frustino da cavallerizzo.
 Forse perché era quello l’attrezzo che in caso di necessità, Bruno aveva più sovente in mano; forse perché, in fondo, era quello il mezzo punitivo che più la spaventava dopo il clistere superiore ai quattro litri con l’obbligo di trattenerlo per cinque minuti, che aveva sperimentato, per sua fortuna soltanto tre o quattro volte, ed il battipanni che, non essendo proprio a portata di mano, aveva assaggiato piuttosto raramente. Forse perché quello era l’attrezzo più crudele e cattivo, che riusciva a colpire di sorpresa qualsiasi punto, anche il più nascosto e delicato, seccamente, con estrema precisione; fatto sta che per Luisa il frustino da cavallerizzo rappresentava lo “Scettro regale” il “Sigillo dell’Imperatore”
 Con lo scudiscio tenuto a due mani dietro la schiena, si piazzò a gambe divaricate davanti alla donna.
 * Alzati e spogliati. Dalla vita in giù. –
 Non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva la minima idea di come procedere. Aveva semplicemente impartito il primo ordine che le era saltato in testa.
 In effetti, non aveva fatto altro che impartire l’ordine che più di sovente le era impartito quando doveva essere punita.
 Inconsciamente, la sua speranza, come in effetti avvenne, era che la donna le desse una giustificazione per la punizione che intendeva darle, rispondendo in malo modo o addirittura, cosa per lei impensabile, che si ribellasse.
 * Io non faccio un cazzo! Non sarai certo tu quella che mi farà sp… Benché attutito dalla gonna, il colpo di scudiscio che si abbatté per lungo sulla sua coscia sinistra, sortì un effetto devastante.
 Una   saetta   di dolore   partì   dalla gamba e attraversandole dolorosamente tutta la schiena, le esplose nel cervello.
 L’urlo strozzato che ne derivò, interruppe per sempre la frase ribelle che stava pronunciando.
 Freneticamente agguantò, con tutte e due le mani la coscia colpita. Se la strinse al petto quasi volesse coccolarla. Grossi lacrimoni le colarono dagli occhi mentre profondi singhiozzi le interrompevano il respiro.
 Impiegò qualche minuto a calmarsi.
 In lei, ormai, non c’era quasi più segno di ribellione; almeno apparente.
 Ignorando la presenza dei due padroni di casa, alzò la gonna scoprendo una magnifica coscia, perfettamente tornita, sfigurata da una sottile striscia rossa che andava dal ginocchio a pochi centimetri dall’anca.
 * Guarda cosa mi hai fatto. – Disse piagnucolando, rivolgendosi a Luisa, – Mi hai sfregiato una gamba. –
 * Non ti preoccupare, in una settimana al massimo quel segno scomparirà; quello e tutti gli altri che ti farò questa notte. Svelta, ubbidisci all’ordine che ti ho dato. Anzi, adesso ti spogli completamente e con molta grazia. Voglio che il mio Signore sia soddisfatto dei tuo spettacolo. –
 La donna guardò Bruno sperando in un suo intervento o quanto meno in un ripensamento. La sua delusione fu piuttosto forte quando lo vide, invece, tranquillamente seduto in poltrona, sorridere compiaciuto a Maria Luisa.
 Un senso di frustrante impotenza si impadronì dì lei. Possibile che dovesse sottostare ai capricci di una serva?
 Voleva rifiutarsi?
 Poteva rifiutarsi?
 Da come la stava guardando la sua, volente o nolente, padrona, non le sembrò la cosa migliore. Cosa poteva fare? In fondo, stava ottenendo quasi esattamente, come aveva detto Bruno, quello per cui sì era recata in quella casa: cambiava soltanto il Padrone. Anziché essere Bruno, la persona che l’avrebbe costretta a sottomettersi in tutto e per tutto, sarebbe stata la sua “governante laureata”.
 Proprio questo, però, la mandava in bestia. Non riusciva a digerire l’idea che un’altra donna comandasse su di lei.
 Le piaceva essere costretta ad ubbidire; molto spesso, nei suoi giochi, disubbidiva apposta per essere punita. Adorava sentirsi legata, impotente a schivare i colpi di frusta che le facevano bruciare il corpo. Godeva nell’essere obbligata ad umiliarsi, ad essere usata un tutti i modi, ma sempre da padroni maschi. Non aveva mai sperimentato una Padrona, ed era sicura che non avrebbe funzionato: almeno credeva.
 Due robuste scudisciate, una dritta e una rovescia, sulle anche, la riportarono bruscamente alla realtà.
 * Ti decidi a spogliarti o vuoi che lo faccia io a colpi di frusta? –
 Luisa aveva assunto un atteggiamento deciso e sicuro che in realtà non rispecchiava affatto il suo vero stato d’animo. In realtà quella nuova esperienza era per lei sconvolgente: lei era una schiava perfettamente addestrata; lei viveva per servire il Suo dio, per il Suo piacere.
 Quante volte, per dargli l’occasione dì soddisfare la sua voluttà nel punirla, aveva disubbidito dì proposito? Quante volte, per provare il piacere di essere sonoramente sculacciata si era lasciata andare ad assurdi capricci?
 Ora il suo Padrone la stava sottoponendo ad una nuova prova. Ardua; molto ardua.
 Malauguratamente, tutto era avvenuto troppo all’improvviso ed in fretta. Non era riuscita a comprendere cosa lui si aspettasse.
 Voleva che fallisse?
 Voleva veramente che lei si comportasse da padrona?
 Perché l’aveva innalzata agli occhi dì lei?
 Perché quel sorriso compiaciuto quando lo aveva inconsciamente imitato, ora se ne rendeva conto, impartendo quegli stessi ordini che tante volte lui le aveva dato?
 Sospese i suoi pensieri per guardare al donna che, liberatasi lentamente, come le era stato ordinato, dai suoi indumenti, mostrava orgogliosamente tutta la bellezza esplosiva dei suo corpo.
 Osservando quella statuaria bellezza, cui lei d’altronde non aveva nulla da invidiare se non forse l’altezza; quei seni gonfi, quasi pesanti in confronto ai suoi, pieni, ma adolescenziali, quei fianchi ben modellati, quelle natiche lisce, carnose ed invitanti, si decise.
 Le tornò, più forte di prima, il desiderio di darle il fatto suo; di umiliarla. Giusto o sbagliato, non le importava più. Voleva essere la Padrona di quel corpo almeno per una volta, per qualche ora, per qualche minuto.
 Non doveva fallire. Non poteva sbagliare: bastava fare esattamente quello che faceva lui. Imitarne l’atteggiamento, copiarne i gesti, ripetere le sue azioni, e tutto sarebbe andato per il meglio.
 Se poi non era questo, quello che lui voleva, … . Un brivido di piacere la percorse al pensiero della punizione che avrebbe ricevuto.
 In ogni caso, il suo Amore sarebbe stato soddisfatto. Lei viveva per questo.
 * Sdraiati, pancia sotto, sul divano. Lascia le gambe penzoloni dal bracciolo. Le braccia allungale verso quell’altro.
 Quante volte si era sentita impartire quell’ordine.
 Quante volte aveva tremato nell’attesa degli stessi colpi sulle natiche tese che anche ora lei stava dando sui glutei carnosi ed immacolati della donna.
 Tra un colpo e l’altro lasciava passare diversi secondi. Per esperienza sapeva che i colpi troppo ravvicinati sono meno dolorosi di quelli radi. I colpi rapidi, in un certo senso anestetizzano: non danno il tempo di sentire appieno tutto il dolore dì ogni scudisciata.
 La donna, pur avendo deciso, ormai, di provare la nuova esperienza di sottomettersi ai voleri di una Padrona, non si aspettava un attacco così violento; pur sapendo, sperando, che presto sarebbe arrivato il piacere, non riusciva, per il momento, ad evitare di urlare e dimenarsi. Più volte fu tentata di alzarsi per sottrarsi a quel castigo dato in modo quasi scientifico. Glielo impediva soltanto l’abbattersi di un nuovo colpo sulle sue natiche infuocate.
 * Si vede che come schiava non vali ancora molto. Sei proprio una principiante alle prime armi. –
 Lo scherno con cui Luisa si rivolse alla sua schiava era evidentissimo.
 * Ti muovi troppo e mi costringi a legarti. –
 Senza dire altro, trasse dal secrétaire quattro bracciali di cuoio nero foderati, all’interno, con un tessuto feltroso che evitava le altrimenti inevitabili spellature e strisce rosse dovute ai forti strappi dati dalla corrigenda. Poi, compiendo gli stessi gesti che tante volte aveva visto compiere dal suo Padrone, glieli applicò. Con due cordini legò le caviglie ai piedi dei divano ed i polsi al bracciolo opposto.
 Quella che era stata per qualche ora l’ospite illustre di quella casa, si lasciò fare tutto senza opporre la minima resistenza. Aveva capito che senza l’aiuto di Bruno non sarebbe riuscita a sottrarsi ai voleri di quella perfida belva scatenata, ma proprio Bruno gliela aveva data in pasto.
 * Bene, ora vediamo se capisci che durante le punizioni non ci si deve muovere. La legge di questa casa dice che per ogni grosso movimento la pena va raddoppiata. Quindi, se da ora in avanti fai la brava, non ti muovi e non tenti di ribellarti, mi ci vorrà almeno mezz’ora per darti tutte le scudisciate che ti sei guadagnata. Vedremo se alla fine non sarai anche tu “molto disponibile”. –
 Aveva già il braccio alzato, pronto a colpire, quando Bruno la interruppe: – Prima di riprendere il trattamento, versami per favore una buona dose di Vodka. La serata si sta facendo veramente interessante. –
 Luisa gioì a quelle parole. Erano un palese invito a continuare su quella strada. Il suo Padrone la approvava ed era soddisfatto, almeno per ora, dei suo comportamento.
 * Se vuoi, versane anche per te. Brinderemo a questa tua nuova esperienza.
 Non le sembrò possibile credere alle sue orecchie. Non era mai accaduto, durante i loro giochi S.M. che il suo Signore la invitasse a bere con lui. In quei momenti, anzi, la distanza che li separava era abissale. Lui era il tutto, lei il nulla. Ora, sentirsi trattata da pari a pari, di fronte a quella vacca, la ripagò di tutte le sofferenze patite durante la cena.
 Con un alone di felicità che irradiava da tutta se stessa, si avvicinò al suo uomo. Gli porse il bicchiere e si accoccolò ai suoi piedi, com’era suo piacere fare quando non si trovavano in presenza di altri.
 Bruno le sorrise con affetto, poi, nel toccarle il bicchiere per un silenzioso ma molto significativo brindisi, le sollevò il volto e le sfiorò le labbra con un dolce leggero bacio.
 Sentì un brivido correrle lungo la schiena, giù, fino in mezzo alle cosce, ed esploderle in un tremito nei due punti delicati e sensibili. Ano e vagina, suoi centri principali del piacere, si fusero in un unico, lungo, languido tremore.
 * Potrei avere anch’io un buon bicchiere di Vodka? Mi aiuterà a sopportare un po’ meglio quello che mi aspetta. –
 La frase e sopratutto il modo lagnoso con cui fu detta rovinò in modo irreparabile la magica atmosfera.
 Bruno la guardò con occhio ostile e fu tentato di intervenire lui stesso nella ulteriore punizione che la donna stava per ricevere.
 Osservò le sue braccia tese, la candida, grossa mammella schiacciata sul cuscino di cuoio, la schiena arcuata nella posizione che Luisa le aveva imposto, finché fermò lo sguardo su quel magnifico mappamondo, una volta candido. Ora era attraversato da numerosi tratti rossi. Le scudisciate avevano cominciato a lasciare il segno.
 Decise di soprassedere. Non poteva privare la sua adorata schiava del premio che le aveva regalato per come si era comportata in quella difficilissima serata.
 Luisa, da parte sua, si sentì defraudata del suo momento incantato ed in un lampo seppe come rifarsi, come punire la Sua schiava, questo, ormai, nella sua mente era quella donna, per la grave mancanza commessa!
 Come aveva osato chiedere di partecipare al loro brindisi?
 * Così, anche tu vuoi brindare alla serata? Anche tu vuoi quello che stanno bevendo i tuoi padroni? Bene! Sarai accontentata. –
 Guardò Bruno per capire se aveva ancora mano libera.
 Al suo cenno di assenso, riprese: – In effetti, mi sembra ragionevole. Tu ti presti ad essere l’oggetto dei nostro piacere ed è giusto che brindi con noi. Ne vuoi un buon bicchiere? Perché no? Noi non siamo mica avari, sai? Se vuoi posso darti anche tutta la bottiglia. –
 La donna non poteva vedere, data la posizione quello che Luisa stava facendo. Pensando che realmente volesse esaudire il suo desiderio, rispose piuttosto ingenuamente: – Beh, no; la bottiglia intera, no. Per quanto regga l’alcool molto bene, una bottiglia intera mi farebbe addormentare come un ghiro. –
 Neanche Bruno poteva vedere quello che stava facendo la sua donna. L’aveva vista prendere qualcosa dal secrétaire, ma si era distratto ad osservare il culo segnato dell’ospite.
 Ora, tentando di guardarle oltre le spalle, tentava di capire a cosa stesse trafficando Luisa sul piano d’appoggio del mobile bar.
 * No, mia cara. Penso che ti sottovaluti. Non credo proprio che un buon mezzo litro di Vodka sia sufficiente a farti addormentare. Specialmente se servito come te lo sto preparando io. – Così dicendo si voltò con aria trionfante verso Bruno.
 In una mano aveva la bottiglia di Vodka, da poco aperta, completamente vuota; nell’altra, una peretta, appunto da mezzo litro, sormontata da un’enorme cannula con rubinetto. Quella stessa cannula che spesso Bruno usava con lei, quando voleva impedirle di evacuare subito i lunghi clisteri punitivi che periodicamente le impartiva.
 Mezzo litro di Vodka sorbita dal culo! Una punizione niente male.
 Bruno non poté fare altro che sorridere e congratularsi con se stesso. Aveva addestrato la sua schiava in modo superbo. Era anche piena di inventiva. Alle volte, le aveva fatto anche lui qualcosa dei simile, ma usando dello spumante, mai alcolici così forti.
 Luisa posò la bottiglia e, sorridendo soddisfatta, si avvicinò posteriormente alla donna del tutto ignara di quanto stava per accaderle.
 La posizione era ottima: piegata quasi ad angolo retto, metteva in bella mostra la pelle crespata dei buchetto posteriore.
Image La padrona di casa, guardando languidamente il suo signore, si introdusse la grossa cannula in bocca lubrificandola completamente con la saliva, poi, sorridendogli, con un colpo secco, la introdusse fino in fondo nell’ano dell’ospite.
 Il grido di sorpresa e doloroso fastidio, che sfuggì dalla bocca della donna nel sentirsi così brutalmente violata, fu un semplice sussurro rispetto a quello che lanciò quando il liquido che iniziava ad inondarle l’intestino cominciò a fare il suo bruciante effetto.